Svelati gli importi segreti degli aumenti INPS: ecco chi guadagna davvero di più nel 2026
Con l’avvicinarsi del nuovo anno, l’attenzione di milioni di pensionati italiani si concentra su un solo grande interrogativo: “Quanto crescerà davvero la pensione nel 2026?” Le ultime previsioni sull’inflazione acquisita per il 2025 – fissata all’1,7% – promettono una vera e propria rivoluzione sugli assegni INPS, ma dietro i numeri si nasconde un sistema di aumenti a scaglioni che premia chi ha di meno e lascia solo un piccolo contentino ai redditi più alti. Chi deciderà, dunque, chi riceverà l’incremento massimo? E quanto cambieranno davvero i trattamenti minimi, le pensioni di invalidità, le reversibilità e l’assegno sociale? La partita degli importi si gioca ora, e le sorprese non mancano.
Scatta la corsa agli aumenti: il nuovo meccanismo delle fasce INPS divide i pensionati
L’INPS ha deciso: il nuovo anno porterà con sé una rivalutazione degli assegni che non sarà uguale per tutti. Il cuore della questione è il meccanismo della perequazione automatica, un sistema pensato per proteggere il potere d’acquisto dei pensionati e per adeguare ogni anno gli importi all’andamento dei prezzi. Ma come si traduce, nella realtà, questa formula?
I dati parlano chiaro: chi percepisce una pensione bassa potrà contare su un aumento pieno – il famoso 100% del tasso di inflazione, fissato tra l’1,6% e l’1,8% a seconda degli scatti definitivi. Invece, gli assegni più alti saranno sottoposti a una sforbiciata progressiva: tra il 90% e il 75% del tasso, in base agli scaglioni. Così, chi oggi si trova poco sopra il minimo vedrà aumenti più sostanziosi, mentre chi ha costruito una pensione elevata dovrà accontentarsi di un adeguamento molto più contenuto.
Ecco alcuni numeri che stanno già facendo discutere: per una pensione lorda di 1.000 euro, l’incremento stimato oscilla tra 16 e 18 euro mensili; per chi riceve 3.000 euro lordi al mese, l’aumento sarà fra 48 e 54 euro, ma solo sulla prima fascia riceverà la rivalutazione piena. La tabella INPS svela quindi una realtà frammentata, in cui il valore dell’incremento dipende in modo cruciale dalla fascia di reddito.
Pensioni minime e invalidità: chi riceve il vero aiuto e chi deve accontentarsi
La grande attenzione è puntata sulle pensioni minime e sulle prestazioni di invalidità civile, storicamente tra le più basse del sistema previdenziale italiano. Per il 2026, la parola d’ordine è “adeguamento straordinario”, ma le cifre sorprendono: la rivalutazione aggiuntiva per i trattamenti minimi scende all’1,5%, un taglio rispetto al 2,2% concesso negli ultimi anni.
Quali sono allora gli importi in gioco? Chi oggi percepisce un assegno minimo di 520 euro lordi vedrà un incremento di circa 7,80 euro al mese; con una minima a 550 euro, il salto sarà di poco superiore agli 8 euro. Anche la pensione di invalidità civile salirà, passando dagli attuali 333,33 euro a circa 336,66 euro grazie al nuovo tasso di rivalutazione.
Attenzione anche agli importi dell’assegno sociale, altro pilastro del sostegno agli anziani con redditi bassi: per il 2025 la base è fissata a 538,68 euro al mese, ma le proiezioni per il 2026 parlano di una crescita fino a 548,37 euro grazie alla doppia rivalutazione. Solo negli scenari più ottimistici, sommando l’adeguamento standard e quello straordinario, l’assegno sociale potrebbe superare la soglia dei 622 euro al mese.
Irpef e pensioni: scatta il taglio delle tasse per i redditi medio-alti
Il 2026 si annuncia rivoluzionario anche sul fronte fiscale. Il governo studia un ritocco delle aliquote Irpef che avrà un impatto diretto sulle buste paga dei pensionati più abbienti: il secondo scaglione, attualmente fermo al 35%, potrebbe scendere al 33%. Una mossa che, secondo le simulazioni, porterà un risparmio fino a 640 euro annui per chi ha un reddito di 60.000 euro – ovvero 55 euro netti al mese in più.
Chi si colloca nella fascia tra 28.000 e 50.000 euro beneficerà di un taglio fiscale di circa 20 euro netti al mese su una pensione di 40.000 euro lordi annui. Si tratta di vantaggi che sfiorano solo marginalmente chi ha pensioni basse, mentre per le fasce medio-alte l’effetto combinato di rivalutazione e sgravi Irpef rappresenta una spinta ulteriore al netto mensile.
Lo scenario resta comunque caratterizzato da una forte progressività: chi ha meno, riceve di più; chi ha di più, vede crescere il netto, ma in modo più contenuto e limitato ai primi scaglioni. Un sistema che mira a bilanciare equità e sostenibilità, ma che continua a suscitare dibattito tra sindacati e associazioni di categoria per l’entità degli importi realmente percepiti.
Gennaio 2026: la nuova pensione arriva, ma solo chi rientra nelle soglie INPS festeggia per davvero
Tutte le nuove regole entreranno in vigore a gennaio 2026, quando milioni di pensionati riceveranno il cedolino aggiornato con gli importi rivalutati. Ma non tutti potranno sfoggiare sorrisi: il calcolo della perequazione segue uno schema rigidissimo, basato sulle cosiddette fasce minime INPS. Chi percepisce fino a 4 volte il trattamento minimo (circa 2.413,60 euro), si vedrà applicare l’aumento del 100% del tasso di inflazione.
Per gli importi compresi tra 4 e 5 volte il minimo (fino a circa 3.017 euro), la percentuale scende al 90%. E oltre questa soglia, cioè sopra i 3.017 euro, la rivalutazione sarà solo del 75%. Tradotto in euro, significa che ad esempio un assegno di 3.000 euro vedrà la parte fino a 2.413,60 euro rivalutata completamente, mentre la quota restante riceverà l’aumento ridotto.
Il risultato? Una platea variegata in cui i grandi festeggiamenti saranno riservati soprattutto a chi riceve gli importi più bassi. Le tabelle diffuse aprono nuove prospettive, ma anche nuove domande: quanto durerà questo sistema? E quali saranno i prossimi passi dell’INPS e del governo per rispondere alle crescenti richieste di equità e sostegno? Il 2026 si annuncia come un anno di cambiamento senza precedenti per il mondo delle pensioni, con aumenti che – almeno sulla carta – promettono di fare la differenza.