Sequestro di contanti, la Cassazione cambia le regole: non basta il sospetto, ora servono “prove concrete” del reato

Una nuova sentenza della Corte di Cassazione stabilisce che il sequestro di denaro contante non può avvenire sulla base di semplici sospetti o presunzioni: servono prove concrete e documentabili del collegamento tra le somme e i reati contestati. Una svolta che cambia l’approccio verso cittadini e imprese.

Il tema del sequestro preventivo del denaro contante torna al centro dell’attenzione grazie a una decisione significativa della Corte di Cassazione. Con più pronunce recenti, i giudici di legittimità hanno stabilito che non è più sufficiente rinvenire somme ingenti in contanti per giustificare un sequestro: serve un legame diretto e comprovato con i reati ipotizzati. Una linea interpretativa che rafforza la tutela dei diritti dei cittadini e delle imprese e pone paletti più stringenti per le indagini in materia fiscale e fallimentare.

Le condizioni stabilite dalla Cassazione

Secondo la Suprema Corte, il sequestro preventivo è una misura cautelare eccezionale che deve poggiare su basi solide. Per legge, può essere disposto dal giudice su richiesta del pubblico ministero, ma la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che, quando si tratta di denaro contante, l’onere della prova è ancora più stringente. Non basta quindi il sospetto o il semplice possesso di grosse somme: occorre dimostrare un collegamento diretto tra i soldi rinvenuti e l’attività illecita contestata.

In particolare, i giudici hanno indicato tre scenari in cui il sequestro non è legittimo:

  • quando manca la prova precisa del rapporto tra il denaro e il reato;

  • quando l’impresa è coinvolta in una procedura di composizione negoziata della crisi, che assicura la continuità aziendale e riduce il rischio di dispersione del patrimonio;

  • quando il patrimonio dell’indagato è comunque sufficiente a garantire i crediti fiscali e le richieste dell’erario.

Questo orientamento rappresenta un freno a sequestri troppo automatici, spesso basati più sul sospetto che su riscontri oggettivi.

Il caso dell’avvocato e i 78mila euro nascosti in auto

Emblematica è la recente sentenza n. 31274/2025, riguardante un avvocato indagato per bancarotta fraudolenta. Durante le indagini, gli erano stati sequestrati circa 78mila euro in contanti, nascosti nel bagagliaio della sua auto. Secondo l’accusa, il denaro proveniva da prestazioni professionali fittizie, per un valore complessivo di oltre 400mila euro, pagate da una società successivamente fallita.

La Cassazione, però, ha annullato il sequestro. I giudici hanno rilevato che non vi era alcuna prova concreta di un collegamento immediato tra i bonifici sospetti (effettuati più di un anno e mezzo prima) e le banconote ritrovate. Anche se le modalità di occultamento potevano apparire sospette, il semplice possesso di contanti, anche di importo rilevante, non costituisce di per sé motivo sufficiente per disporre la misura cautelare.

Il principio del nesso diretto

Dalla decisione emerge un principio fondamentale: il pubblico ministero deve dimostrare che il denaro sequestrato sia:

  • provento diretto del reato contestato, oppure

  • strumento utilizzato o movimentato nell’attività illecita.

In assenza di questo legame, la misura cautelare è considerata illegittima. Si tratta di una tutela importante per il diritto di proprietà e contro eventuali abusi, evitando che cittadini e imprese si vedano privati dei propri beni senza basi giuridiche solide.

La composizione negoziata e la protezione del patrimonio

Un’altra pronuncia significativa è la sentenza n. 30109/2025, in cui la Cassazione ha chiarito che i beni di un’impresa ammessa a composizione negoziata della crisi non possono essere sequestrati preventivamente per reati fiscali. La procedura stessa, infatti, garantisce la salvaguardia del patrimonio e rende ingiustificata la misura cautelare. In quel caso, la Suprema Corte ha ordinato la liberazione di quasi 14 milioni di euro, confermando che il sequestro non è compatibile con strumenti giuridici già volti a proteggere i creditori e a garantire la continuità aziendale.

Implicazioni per cittadini e imprese

Le sentenze in questione rafforzano un messaggio chiaro: lo Stato deve sì difendere le proprie entrate fiscali e contrastare i reati economici, ma senza ledere in modo sproporzionato i diritti individuali. Per i cittadini, significa che il possesso di denaro contante non è di per sé prova di illecito; per le imprese, che l’adozione di procedure di tutela patrimoniale riconosciute dalla legge riduce sensibilmente il rischio di sequestri ingiustificati.

L’orientamento della Cassazione contribuisce così a rafforzare il principio della certezza del diritto, fondamentale per un sistema giuridico equilibrato e per la fiducia degli operatori economici.